A Capri è tempo di raccolta delle olive: 'Qui la vera identità dell'isola'

Nei terreni di Anacapri, l’associazione “L’Oro di Capri” ha avviato il processo che porterà all’olio Evo che racconta il territorio: 20 quintali al giorno, per una produzione di 7000 litri

Benvenuti a Capri. Dimenticate, però, le cartoline che hanno reso celebre l'isola, dalla celebre piazzetta alla Grotta Azzurra, che pure – da qui – dista appena una manciata di chilometri. Pino de' Monaci, Anacapri, parte da uno degli uliveti più belli – il vento sibila sul mare che s'ingrossa – la raccolta delle olive della nuova annata, con la regia di un'associazione – L'Oro di Capri – che da dieci anni promuove il recupero, dopo decenni di abbandono, del patrimonio contadino dell'isola. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Venticinque gli addetti alle operazioni: scuotono i rami, raccolgono i frutti. E, soprattutto, dialogano con i turisti increduli che sgranano gli occhi, scoprendo fatalmente un'altra Capri. “La vera Capri”, dice Carlo Alessandro Lelj Garolla, coordinatore dell'associazione di olivicoltori capresi, tra i primi a crederci. Si parte da qui, e si proseguirà nei quasi 50 ettari della rete dove si trovano alcuni tra gli ulivi più antichi della Campania, esemplari di età compresa tra i duecento e i mille anni, come certificato da uno studio condotto dal Cnr IBBR di Perugia per una raccolta che porterà a una produzione di 7000 litri di olio extravergine. Andranno a ruba, perché raccontano Capri assai più del limoncello, altro che una calamita da attaccare al frigo.

“Abbiamo quasi del tutto eliminate le macchine con motore a scoppio, la nostra raccolta è a impatto zero grazie a mezzi elettrici e a un occhio inderogabile alla sostenibilità ambientale”, spiega l'agronomo Angelo Lo Conte, tra le anime del progetto. Poi, approfondisce l'andamento dell'annata: “Una buona carica, le piante capresi hanno avuto un'ottima produttiva, buona anche la pezzatura dei frutti, i più grandi da quando abbiamo avviato il progetto”, dice. Le olive arrivano nei frantoi di Salento, in Cilento: la molitura avviene entro sedici ore dalla raccolta, che è anche un po' una festa della Capri contadina che ama riscoprirsi così, semplice e genuina, mentre sull'estate del jetset scorrono, fatalmente, i titoli di coda.

Questa è, però, non solo una storia di appassionato slancio. In gioco ci sono competenze e approfondimenti: l'ultimo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Scientia Horticulturae”, ha evidenziato l'esistenza di 21 genotipi unici sull'isola di Capri, testimoni di una insospettabile biodiversità: alcuni rimandano alla cultivar Throumbolia, diffusa soprattutto in Grecia, prevalentemente a Creta.

La determinazione dell'età, effettuata mediante datazione al radiocarbonio e specifiche formule algebriche, ha poi raccontato storie di alberi millenari, come quella – sorprendente – del cosiddetto ‘patriarca’, un ulivo di Pino de' Monaci, varietà Minucciola, che è tra i più antichi d'Italia. Un'effervescenza, quella dei soci, che ha contagiato un po' tutti: oggi riprendere la coltivazione degli ulivi di Capri è la missione di pochi eletti, domani chissà.

Apprezza, la popolazione: del resto l’associazione ha promosso – su impulso del presidente Pier Luigi Della Femina – anche il progetto “Mamma Evo”, favorendo il consumo dell’olio extravergine a chilometro zero tra le neomamme. L’obiettivo? Educare i neonati al sapore naturale già nella fase dello svezzamento. Chapeau.

di Pasquale Raicaldo

“La Repubblica” (ed. Napoli), del 14/09/2024

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